Libertà di viaggiare: il senso del viaggio all’epoca del low cost

Nell’epoca dell’overtourism c’è un modo facile per risparmiare: prenotare prima, decidere tutto, controllare ogni cosa. Ma come faremo a salvare il senso del viaggio?

Ormai è chiaro da tanto, ma negli ultimi tempi è sempre più certo: l’improvvisazione è finita. Perché è vero, c’è stato un momento nella vita dei viaggi in cui persone come me, che vogliono decidere sempre all’ultimo e sull’emozione del momento cosa fare in vacanza, avevano vita facile. Era l’epoca del «Last Minute», del prenotare il volo, il pacchetto, l’hotel all’ultimo momento e avere un buono sconto. Insomma, prendevi ciò che restava, posti che i tour operator erano ben contenti di vendere per riempire i buchi rimasti.

Poi, lentamente, di sconti all’ultimo se ne è parlato sempre meno, anzi ormai è evidente nella pratica di ognuno di noi che più tardi si prenota, più si paga. I motivi della fine del last minute sono tanti: il nuovo modello commerciale delle agenzie viaggi on line (che non comprano pacchetti da rivendere ed eventualmente da scontare all’ultimo, ma guadagnano dalle commissioni sulle vendite), la nascita dei low cost e degli algoritmi dei prezzi sempre in bilico tra riempimento e margine, e non ultima, la crescita esponenziale del turismo. Di posti non ne avanzano più, il last minute non serve più a nessuno.

Lo scorso 19 settembre 2019 easyJet ha messo in vendita i voli per l’estate 2020 e solo nell’intervallo tra le  7 e le 8 del mattino di quello stesso giorno ha venduto mezzo milione di posti, garantendo a chi li ha comprati tariffe realmente vantaggiose (il 50% dei clienti della compagnia paga una media di 50 € a biglietto). Una rivoluzione – positiva – che ci consente di viaggiare a poco, e di più. Io, però, la scorsa estate ho prenotato un volo di ritorno dalla Grecia all’ultimo, ho pagato una tratta più di trecento euro e credo di essere stata anche molto fortunata a trovarlo. Ma da quando non c’è più quella cosa che «non sai quando torni»? Dov’è finito il «biglietto aperto», ovvero la vera animo del viaggio, la possibilità di esplorare fino a quando non capisci che è il momento di tornare a casa? E più in generale, dove è finita la nostra libertà di scelta in un mondo in cui i biglietti del cinema per vedere il film Parasite sabato sera a Milano erano terminati alle 5 del pomeriggio, e dove se non sei con il dito su «prenota» per concerti, spettacoli e altro nel momento esatto in cui aprono le vendite, perdi il posto (e potenzialmente lo perdi comunque senza nemmeno sapere perché)? E così per i viaggi: anche i biglietti degli aerei, semplicemente, finiscono. Per alcune tratte e in alcuni momenti l’aereo è strapieno, i tour chiusi.

Siamo nell’epoca – paurosa – del cosiddetto «overtourism», in cui viaggiare non è partire alla ricerca, esplorare l’ignoto, ma è fare uno spostamento di regione o nazione previsto in ogni sua aspettativa, in ogni metro percorso, esatto in ogni mezzo preso, in cui i ritardi sono una tragedia, gli inconvenienti una seccatura quasi insopportabile. Dimenticandosi che è sempre stato l’imprevedibile che ha riempito le nostre vite e vacanze di bellezza, l’hotel in cui si capita per caso e non si vuole più andare via, una sosta forzata in una cittadina non prevista l’incontro sconosciuto, il cambio di rotta.

Il fatto vero è che forse oggi non abbiamo più voglia di viaggiarema tentiamo disperatamente e inutilmente di «rilassarci», andiamo in vacanza in Puglia ad agosto senza trovare uno spazio per sederci in spiaggia, sterminando ogni forma di vita nei mare per mangiare – tutti i migliaia di turisti all’unisono – un fritto misto, aspettando ore per poterci sedere al tavolo fuori in piazza, beviamo un cocktail sul ciringuito di un’isola spagnola dove ci sono però solo italiani e di norma gli stessi che vediamo durante l’anno. Oppure ci rinchiudiamo in resort o villaggio (secondo la nostra predisposizione o capacità di spesa), trovando sì una pausa dal mondo, ma così irreale che non avrà nessun seguito nella nostra vita di tutti i giorni, non la cambierà, difficilmente l’arricchirà. Certo, non è sempre così, non lo è per tutti, ma per tutti, volenti o nolenti, oggi la tendenza a controllare le nostre vite è un tema di estrema attualità. Siamo portati al controllo continuo, di quello che mangiamo, di come siamo, di cosa parliamo, dei tempi dei modi, abbandonando così il più importante senso della vita, la libertà.

Ora, tornando al tema viaggi, la libertà si fa anche di piccole cose, e c’entra con la creatività, con l’emozione, con l’inaspettato e sì, anche con la scelta all’ultimo minuto. Per esempio, con la possibilità di svegliarsi una domenica mattina all’alba, vedere che sarà una giornata gloriosa e decidere seduta stante di andare a sciare in giornata. Perché questo articolo nasce proprio dallo sci, o meglio dall’offerta promossa in questi giorni di comprare skipass a prezzi veramente bassi (quasi la metà dell’alta stagione) se li acquisti molto prima e per i periodi di bassa stagione. E se poi nevica? E se poi non nevica? E se ho l’influenza? Cosa è successo quindi, solo chi può pagare tanto può scegliere la giornata di sci perfetta?

L’altra alternativa proposta degli operatori è appunto quella di viaggiare fuori stagione, dove i prezzi tornano accessibili e i posti ci sono, e anzi ti incoraggiano a prenderli, perché ovviamente in periodo di Overtourism il mantra di ogni operatore e destinazione è «destagionalizzare». Ma, di nuovo, dove sta la nostra libertà? Quali sono le nostre possibilità per eludere il meccanismo del turismo di massa, viaggiare senza spendere capitali e quando vogliamo, anche all’ultimo e nella stagione che più ci piace? In realtà non molte, se non quella di tornare a viaggiare sul serio, scegliere mete che non sono di moda, non lo sono per nessun gruppo di turisti o viaggiatori, e recuperare l’incontro con l’ignoto. Il mondo sembra piccolo solo se lo si legge con le mappe degli altri, mentre se si scrive la propria è immenso e pieno di possibilità.


«Il vero pericolo di esaurire la possibilità di esplorare dipende non tanto dalla mancanza di foreste o montagne sconosciute quanto dell’alterarsi del nostro spirito. L’uomo moderno, dicevo, non sa più stare solo, ha assopito la fantasia, l’inventiva, il senso dell’avventura. Spiritualmente, tende a lasciarsi morire, quando potrebbe ancora vivere».

Walter Bonatti sul tema delle terre inesplorate, 1969