
Dopo cinque anni di silenzio e ricerche lo stilista torna con un progetto (democratico) per vestire tutte: abiti confortevoli come sneaker e anatomici per «accarezzare». «Basta soffrire»null
Rieccolo l’uomo che parlava alle donne: Alber Elbaz. «Parlava? Parlo. Non ho fatto altro in questi cinque anni. E le ho osservate, ascoltate. Ho cercato di capire cosa vogliono, cosa sognano, in un mondo che è cambiato e che le ha cambiate». E cosa vogliono? «Soluzioni. Non fece lo stesso il signor Nike quando smise di fare l’atleta per un incidente e cominciò a chiedersi di cosa avessero bisogno gli sportivi? Li studiò e gli vennero tutte quelle intuizioni…».
Benedetto quest’uomo che sembra uscito da un fumetto con la sua faccia buffa, i grandi occhiali, il papillon e il sorriso sempre addosso e che, di questi tempi, si rimette in gioco con un’energia contagiosa: «Voglio innamorarmi ancora della moda».
Un progetto «democratico», AZFactory (A come Alber e Z come ElbaZ, factory come industria), che è la risposta: abiti per tutte (dalla XXS alla XXXXL), per tutto (dallo yoga al lavoro) e per ogni portafoglio (dai 230 ai 1200 euro). Un video-show-intrattenimento per raccontarlo, durante la couture di Parigi: Elbaz conduttore in studio e, in collegamento, modelle e ospiti e presentatrici, fra chiacchiere, risate e performance: «Tutto è smart, perché non la moda?».
Era dal 2016, da quando si separò da Lanvin, al top del successo, amato da tutti come pochi, che non «c’era»: «Mi sono allontanato. È stata dura — confessa in Zoom da casa —. Il mio ego è andato quasi a zero e ho cominciato a vivere senza». Ha viaggiato e insegnato e letto e pensato e ascoltato e (anche) si è annoiato. «È lì che creatività e sogno hanno ricominciato a farsi sentire: la noia è un’ottima spinta. Ho pensato a un progetto e ho cominciato a cercare gli investitori. Ho scelto e sono stato scelto da chi (Richemontndr) non mi ha chiesto un business plan ma solo di essere felice e giocoso».

Poi le riflessione. La numero 1: «Quando pianti un albero non sai quanto crescerà. Lui ha bisogno solo di acqua, sole e della terra. Che senso ha un business plan? Passare da un noioso meeting di marketing all’altro quando non sai ancora cosa sarai? Guarda il mondo, invece. Ascolta le amiche». La numero 2: «Netflix ha cambiato Hollywood e il download la musica. E la moda? Si preserva. Così sono andato a Palo Alto. Ero scettico, credevo non avrei avuto nulla da spartire con quella gente e invece laggiù ho trovato un’umanità che parlava di bellezza, emozione e cultura e c’era energia. Quegli ingegneri sono diventati per me dei designer innovatori. Ho abbracciato la tecnologia, scoprendo che algoritmi e sogni possono mescolarsi. Ora nel mio team ci sono anche matematici e informatici». Tutti giovani? «Ma no, c’è chi ha più di 60 anni! Se lavori con un gruppo troppo omogeneo non vedi gli errori. È pericoloso avere un’équipe di yes men. Alla lunga resti solo; con la sincerità e il rispetto arrivi invece all’amore».

Crede così nei «love», Elbaz. E rifiuta i «like». «Un tempo i couturier sembravano dottori con i loro camici bianchi, poi è arrivata l’industry e il brand e ora il trend e i social media». Il transfer sul corpo delle donne è un attimo: piacere o amarsi?«Negli anni Cinquanta e Sessanta ti dicevano questo è giusto o sbagliato. Oggi ci sono like. Ma io voglio i love. Se sei extra-small, sei extra-small e se sei extra-large, sei extralarge: amati. Sei bella come sei. Poi: perché soffrire? Ho visto troppe donne farlo: per gli abiti che non si allacciano o per i tacchi. E come un anatomopatologo ho studiato il corpo delle mie amiche e non quello di Marilyn Monroe: volevo abbracciarle e accarezzarle con i miei abiti confortevoli e togliere loro qualsiasi tensione».

Evoluzione e non rivoluzione. Vendite per ora on-line («Vediamo come cresce l’albero»): Net-à-Porter, Farfetch o su AZFactory.com. «Reset» aggiunge lo stilista che è partito da un tessuto stretch («trovato in fabbriche incredibili in Italia, Spagna e Olanda») per abiti (sostenibili, lavabili a mano e piegabili) ergonomici progettati («li chiamo Sneakers Dress tanto sono confortevoli») per ogni taglia e «switchwear»: da una lezione di yoga in leggings e top in microfibra «responsabile» a una zoom call con il semplice tocco di una gonna di duchesse in nylon riciclato. Le sneaker «appuntite» per soddisfare il bisogno di pumps delle «amiche»: «Mi dicevano: Alber noi adoriamo le ginniche ma siamo sexy solo con le pumps». Già, l’uomo che ascolta le donne.
(Dal Corriere della Sera / corrieredellasera.it)