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Ricordiamo i personaggi che hanno contribuito a costruire e animare il clima culturale del dopoguerra, scomparsi in questo 2020, con un progetto, un libro, una mostra, un sito, per raccontare una piccola parte degli enormi lasciti che ci consegnano.

Mentre riordino il materiale per ricordare alcuni dei personaggi del mondo dell’architettura, del design e dell’arte che ci hanno lasciato in questo 2020 – John Baldessari, Adolfo Natalini, Yona Friedman, Vittorio Gregotti, Germano Celant, Nanda Vigo, Christo, Milton Glaser, Cini Boeri, Enzo Mari, Lea Vergine – mi accorgo di alcune caratteristiche che accomunano queste persone, così importanti per la cultura del progetto. Innanzitutto, sono stati personaggi, questi, le cui professioni sono difficilmente inquadrabili in un’unica definizione: architetti, designer, grafici, artisti, critici, forse si possono semplicemente leggere come cultori delle arti e delle sue espressioni. Nati, tutti, tra gli anni Trenta e Quaranta, hanno vissuto la guerra da bambini, e da giovani ne hanno visto il superamento e animato il travolgente impulso a ricostruire che ne è seguito. “Questa vita sembrava normale, la situazione era generale, il pericolo era di tutti, non personale, il fatto che il dramma fosse collettivo rendeva tutto più accettabile”, raccontava Cini Boeri parlando dei bombardamenti su Milano. La frase dell’architetta milanese porta immediatamente a una riflessione sul nuovo dramma collettivo che stiamo vivendo, una guerra senza bombe, che tocca ogni abitante del pianeta, a cui seguirà, ci auguriamo, lo stesso forte impulso creativo che ha da sempre portato l’uomo a reagire davanti a situazioni critiche e a proporre soluzioni di cambiamento.
La seconda considerazione, è che la maggior parte di questo nutrito gruppo, si incontrava a Milano. Sono stati anni di un fervore straordinario, gli anni Cinquanta, nei quali tutto è cambiato. Talvolta, Boeri, Mari, Christo, Lea Vergine, Gregotti, Celant, si trovavano, assieme, pubblicati su un numero di Domus; uno scriveva dell’altro, lo promuoveva, lo criticava, ne recensiva la mostra, il libro, ne curava il catalogo, o ne illustrava la copertina. Hanno contribuito a nutrite il terreno culturale della ricostruzione, ognuno con un personalissimo approccio, dirompente, meditativo, provocatorio, capace di sbalordire tutto il mondo, o combattivo, non disposto a scendere a compromessi con le mode o con i comuni criteri di indagine della realtà. Se ne avvertirà il vuoto.
Nati, tutti, tra gli anni Trenta e Quaranta, hanno vissuto la guerra da bambini, e da giovani ne hanno visto il superamento e animato il travolgente impulso a ricostruire che ne è seguito
Quali eredità ci lasciano? Enormi, certo, e innumerevoli omaggi, libri e mostre ne ripercorreranno le brillanti attività professionali. Qualcuno, come Vittorio Gregotti, ha scleto di donare il suo archivio alla città di Milano; anche Enzo Mari lo ha fatto, ma ha voluto renderli accessibili fra quarant’anni, quando ci sarà una generazione “in grado di farne un uso consapevole”. Yona Friedman, invece, lascia un semplice sito web con i suoi lavori, perché le sue idee e le sue visioni possano ispirare i più giovani.
Per ognuno, segnaliamo un contributo – una mostra, o un progetto meno noto – da andare a cercare e scoprire, o un libro che lo racconti; tracce per accostarsi o approfondire gli animatori di cinquant’anni di storia, del progetto, e non solo. Magari qualcuno di questi oggetti è già nelle nostre case, nelle nostre librerie, o vi si potrà accedere con un semplice clic.
Hanno contribuito a nutrite il terreno culturale della ricostruzione, ognuno con un personalissimo approccio, dirompente, meditativo, provocatorio, capace di sbalordire tutto il mondo, o combattivo, non disposto a scendere a compromessi con le mode o con i comuni criteri di indagine della realtà. Se ne avvertirà il vuoto
John Baldessari (National City, California, 1931)
Architetto e artista californiano, dagli anni Settanta riflette sul linguaggio dell’arte, scritto e visuale, e sulla potenza delle immagini e del loro potere associativo. Negli anni Settanta annuncia al mondo che sta bruciando tutte le sue opere prodotte dal 1953 al 1966 per metterle in un’urna, in un atto di cremazione dell’arte, anche lei soggetta a un ciclo vitale. Le sue opere attingono al repertorio iconografico prodotto dalla cultura di massa: integra alle fotografie e interventi pittorici, in un ironico gioco decostruttivo che mette in discussione il concetto stesso di arte concettuale. Nel 2010 La Tate Modern di Londra e il LACMA di Los Angeles ospitano una mostra sul suo lavoro.
Una puntata da non perdere: una giovane Marge Simpson intervista John Baldessari a proposito della sua scelta di dipingere bocche e nasi giganti.
Una conversazione da riascoltare: sul sito della Tate Modern, Baldessari parla del suo lavoro in occasione della mostra “Pure Beauty”, a cura di J. Organ, L. Jones, nel 2009.

Una giovane Marge Simpson intervista John Baldessari, in una puntata della ventinovesima stagione della serie. (Immagine © The Simpson)
Adolfo Natalini (Pistoia, 1941)
Architetto e docente, cresce nella Firenze degli anni Sessanta e traccia il solco dell’architettura radicale, fondando, insieme a un gruppo di amici, il Superstudio. Accantonato il funzionalismo, il gruppo disegna architetture immaginarie, installazioni immaginifiche su grande scala, dove non c’è distinzione tra arte e architettura. All’università di Firenze, porta avanti ricerche sulla cultura urbana materiale, e incoraggia i suoi studenti, tra cui il giovane Michele De Lucchi, a raccogliere e disegnare il patrimonio delle culture contadine. Lascia in eredità ai suoi allievi la pratica del disegno come esercizio quotidiano, che lui stesso affida alle pagine di quaderni privati. Natalini prende un percorso professionale autonomo, con lo studio Natalini Architetti, ma per tutta la vita continua a essere “segretamente” un pittore (vedi Portfolio, in Domus1027, 2018)
Un libro da cercare: A. Natalini, L. Netti, A. Poli, C. Toraldo di Francia, Cultura materiale extrarbana, Alinea edizioni, 1982.
Una mostra da visitare virtualmente: “Super Superstudio”, a cura di Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni, Valter Scelsi, al PAC di Milano, 2015-2016. Visitabile sul sito del museo, con un’ampia galleria fotografica.

Una pagina tratta dal volume “Cultura Materiale Extraurbana” e la mostra “Super Superstudio” del 2015-2016, visitabile tramite il sito del PAC di Milano
Yona Friedman (Budapest, 1923)
Architetto e teorico francese, di origine ungherese. A Parigi, dal 157, le sue ricerche si indirizzano all’urbanistica e alla possibilità di adattare le città alle esigenze del contemporaneo; propone megastrutture sopraelevate per gestire il traffico urbano e preservare la campagna e la città storica. Nel 2017 pubblica Tetti, una raccolta di informazioni pratiche sulla costruzione di ripari attraverso i materiali di scarto, per rispondere alle esigenze materiali di paesi poveri: attraverso l’auto progettazione, l’architettura può essere lo strumento che consente agli uomini di partecipare attivamente alla creazione della vita sociale. L’abitazione parigina di Friedman è un magico scrigno colmo di libri, disegni e oggetti di scarto trasformati in piccole opere, che raccontano l’architetto, l’uomo e la sua poetica del “recupero”. Il suo archivio cartaceo è stato acquisito dal Getty Center di Los Angeles.
Un sito da scoprire: sul sito personale dell’architetto, si è accolti dalla frase “Yona Friedman wishes to inspire yung(er) people with ideas and views”.
Un libro da leggere: Y. Friedman, L’ordine complicato. Come costruire un’immagine, Quodilbet 2008.

Il sito dell’architetto Yona Friedman e il libro “L’ordine complicato. Come costruire un’immagine”, Quodilbet 2008.
Vittorio Gregotti (Novara, 1927)
Architetto, urbanista e teorico dell’architettura, si forma a Milano, sotto la guida di Ernesto Nathan Rogers, figura di architetto e intellettuale, e intorno alla redazione di Casabella, di cui assumerà la direzione dal 1982 al 1996.
Negli anni Sessanta si occupa di progetti su scala territoriale, nel rispetto dei caratteri di contesto del territorio, e nel 1975 è direttore della Biennale di Venezia. Dal 1985, a Milano, lavora sulla trasformazione del quartiere Bicocca Pirelli a Milano, e nel 2002 completa il Teatro Arcimboldi. L’archivio della sua attività professionale viene donato alla città di Milano nel 2013 ed è attualmente conservato al CASVA, Centro Studi Arte Visive, al Castello Sforzesco.
Un libro da leggere: per iniziare a conoscere gli archivi di Gregotti, Meneghetti, Stoppino e della Gregotti Associati: Umanesimo contemporaneo, a cura di Teresa Feraboli (Quaderni del CASVA 16), 2016.
Un progetto da visitare: Il centro culturale di Belem, a Lisbona (1988-1993), progettato con l’architetto portoghese Manuel Salgado.

Per iniziare a conoscere gli archivi di Gregotti, Meneghetti e Stoppino e della Gregotti Associati: “Umanesimo Contemporaneo”, a cura di Teresa Feraboli, Quaderni del CASVA 16, 2016
Germano Celant (Genova, 1940)
Critico d’arte, curatore, e direttore artistico, Celant si muove nella Genova degli anni Sessanta, dove si interessa ad artisti che lavorano con l’arte in maniera differente, che riunisce nella definizione di “Arte Povera”. Indaga, definisce e promuove, anche negli Stati Uniti, le espressioni artistiche che affrontano la cultura contemporanea, come l’Arte concettuale e la Land Art, l’architettura, il design e la fotografia; segue gli artisti e ne cura le mostre e gli enormi cataloghi. In viaggio tra Milano e New York, si interessa al dialogo tra arte e architettura e agli edifici museali. Nel 2016, cura l’installazione artistica di Christo sul Lago d’Iseo. È stato curatore del Guggenheim di New York e della Fondazione Aldo Rossi, direttore artistico della Fondazione Vdova e collaboratore del Guggenheim di Bilbao.
Una mostra da riguardare: la prima grande retrospettive sul lavoro di Janis Kounellis, alla Fondazione Prada, nel 2019. Le sale del palazzo veneziano di Ca’ Corner della Regina ospitavano alcune delle celebri installazioni dell’artista greco, (Pireo 1936-Roma2017). Celant ne cura il catalogo: G. Celant, Kounellis, Progetto Prada Arte 2019.
Un libro da leggere: G. Celant, Christo e Jeanne Claude. Water projects, Silvana Editoriale 2016.

G. Celant, “Christo e Jeanne Claude. Water projects” e un’installazione della retrospettiva su Janis Kounellis alla Fondazione Prada di Venezia, curata da Celant nel 2019.
Christo (Gabrovo, 1935)
Chirsto Javacheff nasce in Bulgaria e conduce un’esistenza faticosa sino all’arrivo a Parigi, sul finire degli anni Cinquanta. Qui, si unirà al Nouveau Realisme, con gli artisti Arman e Yves Klein, sostenuti e promossi in Italia sulle pagine di Domus dal critico Pierre Restany. Insieme alla compagna Jeanne Claude, Chirsto crea un sodalizio artistico, dove l’interesse è invertire il significato della relazione dell’opera con il contesto: la coppia impacchetta due chilometri di costa australiana (1969), la statua di Vittoro Emanuele in Piazza Duomo a Milano (1970) e il Pont Neuf a Parigi (1985). Installazioni artistiche su grande scala, autofinanziate attraverso la vendita dei lavori preparatori, dei disegni e dei bozzetti, come The Floatin Piers (2016), 18 milioni di dollari investiti per allestire più di quattro chilometri di passerella galleggiante, che ha portato oltre un milione di visitatori sul Lago di Iseo.
Una copertina da scoprire: Domus 704, aprile 1989, con il disegno dei migliaia di ombrelli gialli installati contemporaneamente a Ibaraki, in Giappone, e a Los Angeles.
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