
1) Com’è “essere donna” nel mondo del lavoro?
La risposta è sintetizzata in una citazione di Robert Thaves che amo molto e dà, a mio avviso, un quadro perfetto della situazione: “Certo, Fred Astaire era grandioso. Ma non dimentichiamoci che Ginger Rogers faceva esattamente le stesse cose, ballando all’indietro e sui tacchi alti”.
Nel mondo del lavoro una donna deve fare quanto un uomo, spesso meglio e senza ottenere i medesimi riconoscimenti di posizione né retribuzione.
Lo confermano anche i dati ufficiali 2019: le donne non stanno raggiungendo i vertici di ogni professione in nessun posto al mondo. Nei 193 Stati membri dell’ONU:
– solo 21 hanno una donna Capo di Stato o di Governo
– il ruolo di CEO è ricoperto da donne nel 15% dei casi
– il 24,3% è la quota di donne che siede in Parlamento (curiosità: Rwanda in testa con il 61,3%, la prima Nazione europea in classifica è Svezia al 5° posto mentre l’Italia è al 31°)
Inoltre nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini. Lo affermano le Nazioni Unite, secondo cui il fenomeno del gender pay gap è “il più grande furto della storia”.
Personalmente ho un’esperienza nel mondo del lavoro ormai decennale acquisita in aziende nazionali ed internazionali. Il mio modo di affrontare la professione mi rispecchia e per certi versi rappresenta caratteristiche tipicamente femminili: dare sempre il meglio in qualsiasi situazione, affrontare ogni progetto con totale coinvolgimento, passione ed entusiasmo, essere multitasking e fare mille cose senza perdere di vista il quadro complessivo, agire nel migliore dei modi come se l’azienda fosse “mia”.
E allora, dopo tanti anni come responsabile marketing e comunicazione, ho deciso di lavorare davvero per me stessa.
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Il link tra i dati mondiali e la mia esperienza personale? Le posizioni di potere a vari livelli sono ricoperte prevalentemente da uomini, alcuni competenti ed altri molto meno. Sono proprio questi ultimi che, consapevoli dei propri limiti, fanno di tutto per mettere in cattiva luce le donne professionalmente migliori perché maggiormente pericolose per il loro status aziendale.
2) Cos’era per te il “women empowerment” a 18 anni?
A quell’età per me il concetto di “women empowerment” era rappresentato da donne di successo che mi ispiravano soprattutto in ambito professionale, a partire da Marisa Bellisario, professionista di indiscusso e riconosciuto talento negli anni ’80 ed ancora oggi ricordata come la donna manager più famosa d’Italia.
Identificavo processi quali la crescita dell’autostima o l’espressione del proprio potenziale come strettamente legati all’affermazione in ambito lavorativo, alla sfida che comporta farsi valere ed emergere in un mondo prettamente maschile, al valore personale misurato in base al riconoscimento che viene dagli altri, dall’esterno.
3) 3 parole che oggi associ al “women empowerment”
Passano gli anni, si accumulano esperienze, successi ed insuccessi, e vedi la vita da un altro punto di vista.
Oggi per me, “women empowerment” significa:
Mettersi al centro:
– riscoprire la magia della propria unicità e darle spazio nella nostra vita
– conoscere i nostri pregi per farne punti di forza e accettare i nostri punti deboli come parte integrante del nostro essere
– fare sempre la cosa “giusta per noi stesse” a costo di dover dire dei “no”, senza metterci in secondo piano.
Farsi avanti, ovvero crederci davvero
È fondamentale credere in noi stesse, nelle nostre capacità e potenzialità, e per farlo davvero è necessario farsi avanti, osare, cogliere le opportunità e poi adattarle a noi (non rifiutarle per paura di non essere all’altezza). Tempo fa ho letto un bellissimo libro di Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook e, secondo Forbes 2018, all’11º posto tra le donne più potenti del mondo.
Il libro ha un titolo che parla da sè “Facciamoci avanti – le donne, il lavoro e la voglia di riuscire”. Tra tanti episodi, spunti e considerazioni estremamente interessanti racconta di come spesso le donne si siedono ai margini di un tavolo decisionale pur avendone pieno diritto, non fanno interventi per paura di dire la cosa non corretta, soffrono della sindrome dell’impostore (un uomo ha successo? si sente “un grande”. Una donna ha successo? è lei stessa a schernirsi e dire che è merito della fortuna, del team, del duro lavoro etc).
Non avere paura
La paura è il freno più grande, è alla base di molte barriere che le donne devono affrontare: la paura di non piacere, di sbagliare, di attirare giudizi negativi, di mirare troppo in alto, di essere giudicate, di fallire.
La vera domanda che ho imparato a farmi è “Cosa farei se non avessi paura?” e mi accorgo che:
– chiedendo spesso ottengo (e se non ottengo, non muore nessuno)
– provando spesso riesco (e se sbaglio, imparo cosa non fare)
– mirando in alto, esprimo tutto il mio potenziale perché come disse Nelson Mandela “Non c’è passione nel vivere in piccolo” .

4) Cosa consiglieresti alla te diciottenne?
Mi direi:
Non sei perfetta
quindi smetti di cercare di raggiungere il modello della donna perfetta in ogni campo dell’esistenza, perché finirai con l’essere sempre in balìa degli altri, trascurare te stessa ed essere infelice.
Sei gloriosamente fallibile
perché nessuno è perfetto e il fallimento non esiste. Lanciati e credici, fallo per te stessa e ignora quello che possono pensare gli altri… che sono imperfetti almeno quanto te”.
5) Quanto bisogno c’è di parlare del women empowerment oggi e cosa andrebbe fatto?
Moltissimo, ovviamente, ed i dati ufficiali che inquadrano la posizione delle donne ai vertici delle aziende o nella “stanza dei bottoni” lo dimostrano.
Si possono fare tante cose, tra le quali prestare grande attenzione ai bambini.
Si dovrebbero valorizzare i loro punti di forza, assecondare le passioni, educare nei fatti e nella quotidianità alla parità dei sessi e delle mansioni da svolgere nel rispetto reciproco. Questo vale sia nella scuola che nella famiglia.
È altrettanto importante che le donne abbiano un modello, un tutor, un mentore da seguire ed al quale fare riferimento e chiedere consiglio: può essere un parente, un insegnante, un relatore ad una conferenza, il nostro capo…sta a noi valutare, scegliere, chiedere.
Infine, troppo spesso invece di unire le forze, collaborare e sostenersi a vicenda, le donne si accapigliano in una inutile e dannosa rivalità reciproca che lascia aperti degli spazi che verranno probabilmente occupati, per la legge dei numeri, da uomini.
Se è vero che gli uomini devono sostenere le donne, è ancor più vero che “le donne devono sostenere le donne!”.
6) Parlaci di Aiko, Diciotto e Arting News, i magazine di cui ti occupi. Com’è il tuo lavoro?
Allora, Aiko è un figlio adolescente che sta crescendo con i suoi alti e bassi mentre Diciotto è il figlio, quello bravo, che sta discutendo la laurea ed è ad un passo dalla tesi. Arting News è invece una specie di fratello che sentì e con cui ti rapporti per chiedergli consigli. Scherzi a parte è una soddisfazione enorme occuparmi di questi magazine. E’ un lavoro che amo tantissimo e che non cambierei con nessun altro lavoro al mondo. Ti regala delle emozioni bellissime. Uniche

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